CROSSING OVER
a cura di Angela Madesani
Galleria Artra Milano
19 settembre – 28 ottobre 2024
Inaugurazione giovedì 19 settembre ore 18
CROSSING OVER
Note sui recenti lavori di Pierpaolo Curti
di Angela Madesani
In un articolo pubblicato alla fine di luglio di quest’anno, il monaco Enzo Bianchi afferma che l’uomo deve ricominciare a imparare ad ascoltare il silenzio: «È significativo che nella tradizione spirituale dell’Occidente sia attestato che l’arte oratoria ha per madre il silenzio e per padre la solitudine. Solo il silenzio, infatti, rende possibile l’ascolto, l’accoglienza non solo delle parole ma anche della presenza di colui che parla». E il silenzio è il protagonista delle opere di Pierpaolo Curti, in aperto contrasto con la sua natura socievole. Pare la zona d’ombra della sua esistenza, quella che è dato cogliere a chi sa leggere, a chi presta attenzione. Se nel corso degli anni i suoi soggetti sembravano privi di soluzione, in queste recenti opere ci troviamo di fronte a cenge, passi, valichi. Attua possibilità di unione, di collegamento con l’altro. È un nuovo sguardo sui fenomeni. Titolo di alcune opere è, infatti, Bridge, ponte, che apre a nuove situazioni, ma ne abbandona altre. Sono opere che raccontano in chiave metaforica, in aperto contrasto con la mancanza della narrazione della nostra epoca, che il filosofo coreano Byung Chul Han ha denunciato nel suo recente saggio. In un’opera è un vulcano, che Curti chiama Valico, sulla bocca, in cima è il bianco dell’evaporazione, è un assurgere laico alla spiritualità di cui necessitiamo per salvarci, per trovare un senso alla nostra esistenza: si torna al silenzio di cui parla Bianchi. La sua è la ricerca di una dimensione epica nel senso classico del termine, in cui i grandi poemi divenivano fonti di esempio. E quindi il ruolo della Τύχη, Tyche, il destino degli antichi greci, di per sé mutevole. Filo rosso delle opere è la chiamata alla responsabilità, in primis dell’artista che ha un ruolo sociale, non politico: una differenza portante. L’artista, a detta di Curti, deve essere continuamente sollecitato per procedere e per sollecitare a sua volta lo spettatore, parte attiva dell’opera. In tutto questo, tuttavia, deve esserci anche qualche regola, piccole costrizioni: «Mi considero post relativista, non offro completa libertà allo spettatore. Vi sono dei punti fermi, che non possono essere ignorati. Non possono esserci soltanto dubbi, altrimenti si finisce in un gorgo irrisolvibile». La pittura in senso linguistico, è bene sottolinearlo, non è il fine del suo lavoro. Il medium potrebbe diventare, provocatoriamente, marginale rispetto al messaggio, che a sua volta è foriero di domande più che di risposte. «Adesso più che mai, mi interessa che l’impianto cromatico pittorico dia il via, scateni appunto quella bagarre percettiva, e non solo, che per ognuno è diversa. Tuttavia attraverso l’opera qualche obbligo viene posto. Se vogliamo cambiare il mondo dobbiamo raggiungere quote diverse, prima di tutto con noi stessi». Tutto questo avviene attraverso un coraggioso processo di conoscenza, dovremmo riuscire a togliere le maschere. Le sue strutture giungono all’essenza del rapporto uomo-natura, smascherano le barriere per affrontare quanto sorregge, le impalcature. Titolo di alcune sue opere di qualche anno fa è Gimkana, il riferimento alle complicanze del cammino è evidente, è una corsa contro il tempo, quella che ogni essere umano fa, giorno dopo giorno, con un’unica certezza, quella della morte che prima o poi arriverà. Nelle opere in mostra, entra in scena un colore, che prima era solo accennato, un ocra luminoso, che potrebbe essere considerato un riferimento, un omaggio al fondo oro della pittura delle origini. Curti lo propone come un potenziamento della luce e di conseguenza delle ombre. È la dimensione degli opposti che è proposta continuamente nella sua ricerca: Yin e Yang. Nessun omaggio facile a un orientalismo da new age, piuttosto la volontà di giungere alle radici, in una dimensione di mezzo, di equilibrio. Ancora una volta ci troviamo di fronte al tema della soglia, del limite. In White thread è una porta organica: mi torna alla mente San Giorgio e il drago di Paolo Uccello. Là l’entrata della grotta immerge chi guarda in un buio tunnel del quale non si conosce il prosieguo. Nell’opera di Curti l’oltre è palese, il punctum è un filo bianco sulla destra, del quale non vediamo né l’inizio né la fine, ma siamo portati a pensare che ci conduca alla conoscenza, in grado di darci almeno l’illusione di essere giunti a un approdo.